A poca distanza da Bologna, adagiata sulle giogaie che, a sud della città, formano i primi contrafforti montani, sorge la ridente località di Mongardino.
Pensiamo di non essere molto lontani dal vero affermando che, tra le diverse località collinari prossime a Bologna, questa è certamente una delle più belle ed attraenti.
Quantunque la cosa possa, sulle prime, sembrare curiosa, pure le fortune di questa località scaturiscono in primo luogo dalla particolare natura geologica del suo territorio. Infatti a differenza di tante altre zone collinari, notiamo qui un paesaggio sovente intercalato da forre e dirupi, ripide pareti e profondi burroni, il tutto incorniciato da una fitta e rigogliosa vegetazione che fa da stupenda cornice alle nude e giallastre pareti di arenaria. In questi dirupi il bosco è divenuto il padrone incontrastato di vasti appezzamenti che, non potendo essere utilizzati da altre colture, sono sopravvissuti nei secoli alla generale distruzione che in altre parti ha caratterizzato il patrimonio forestale.
La caratteristica stessa di queste arenarle plioceniche fa sì che, sfaldandosi sotto l’azione degli agenti atmosferici, diano origine a paesaggi bellissimi e veramente suggestivi; per contro è sufficiente che le nude pareti siano interrotte da un breve tratto meno ripido, che subito qui il bosco prende possesso e le radici affondano con relativa facilità nell’arena porosa e friabile.
Spesso si offrono alla vista paesaggi veramente singolari; infatti non di rado ci si imbatte in dirupi che presentano interessantissime stratificazioni, quali profondi banchi di materiali fluviali intercalati ad altrettanti di arenaria, silenziosi testimoni dei sommovimenti e delle spettacolari trasformazioni avvenute sulla crosta terrestre nel periodo terziario. Allora, questi terreni che prima formavano il fondo di lagune o mari interni più o meno ampi, furono lentamente innalzati a centinaia di metri sul livello del mare, dando così origine alle attuali catene degli Appennini.
A conferma di ciò le miriadi di fossili marini di ogni tipo e dimensione racchiusi entro gli strati di arenaria e che, lentamente, vengono riportati alla luce o coi lavori dei campi o ad opera degli agenti atmosferici.
A tale proposito, un insigne studioso del ‘700 che vide ed esaminò di persona questi fossili, ha voluto lasciarci un minuzioso elenco dei medesimi. Si tratta dell’abate Serafino Calindri, dotto naturalista e ricercatore storico che sovente citeremo in queste modeste note.
Ma lasciamo a lui la descrizione:
« Circa le quattro quinte parti del Suolo sono Arena giallastra mista di glutine cretoso, ed intarsiata, e tagliata da strati di ghiaia fluviatile, o separata da strati tofacei, che ne forman come l’ossatura, ed una quinta parte è Arena cenerina impastata di argilla. Quantità di strati tofacei composti da nuclei di Pettiniti di tutte le grandezze nel Monte detto della Grotta, gusci di Telline a strati di diverse grossezze, e lunghezze, o de’ loro nuclei, qualche ammasso luogo a luogo di gusci di Terebratule, di Ostriche, di Dentali, di Lumache Marine, di qualche Trochite, nuclei di Telline argillosi ne’ profondi in quantità ed a strati, non pochi strati di calcoli, che a noi sembrano impasto di arena e de’ corpicciuoli de’ testacei petrificati insieme in masse informi di varie grandezze, vari Sassi fluviatili coperti da’ lavori di Madrepore, o di altri insetti marini, e vari Sassi di più grossa mole da Foladi in varie guise bucati, sono le cose riferibili a naturalisti, che in questo territorio comunale abbiamo trovato… » (‘ ) .
Fin qui la relazione dell’abate Calindri. Come si vede, si tratta di una gamma vastissima di fossili che chiunque può ancor oggi ammirare solo che si armi dì un po’ di pazienza e percorra i tratti di terreno ove più superficiali sono i banchi fossiliferi (2).
A questo punto non vogliamo dimenticare una delle maggiori caratteristiche di questo territorio collinare e cioè il panorama di incomparabile bellezza che si gode dall’alto delle sue cime maggiori quali il monte « della Grotta », il monte « della Palazzina » e monte « Torrone ».
Da un lato lo sguardo s’allarga sulla città e su vasta parte della pianura sin verso il mare, dall’altro invece si offre alla vista una distesa dolcissima di giogaie che si rincorrono sino a confondersi quasi nella trasparenza grigia e azzurra del cielo.
Tale bellezza già era nota nel bolognese sin dai secoli scorsi tanto è vero che anche il Calindri ne fa parola nel suo « Dizionario ».
Un altro accenno lo ritroviamo in un’opera del XIX secolo, nella quale leggiamo: «.., il monte chiamato Palazzina, da cui puossi godere d’una maravigliosa veduta; poiché di là lo spettatore scorge a ponente la città di Modena, a levante una parte di Bologna, e larghissimo tratto di pianura, e nei giorni sereni al levarsi del sole l’occhio viene arrestato solamente dal mare che vedesi benissimo senza bisogno di lenti »(3) .
Per finire vogliamo accennare ad un’altra caratteristica peculiare di Mongardíno: il suo clima. Chi, partendo dalla città, percorre il breve tratto che lo separa da Mongardino, lungo la bella strada asfaltata, sale in breve da pochi metri sul livello del mare, ai quattrocento ed oltre di questa località.
Lasciata alle spalle la statale Porrettana, la strada fiancheggia per un certo tratto il ruscello « Rioverde » seminascosto tra la fitta vegetazione di pioppi ed ontani, indi si inerpica decisamente lungo la costa accompagnata continuamente da una continua visione di boschi, interrotti di tanto in tanto da alte pareti di arenaria.
È così che in pochi minuti d’auto, lasciata in città l’afa estiva o il freddo umido invernale, puoi gustare la tipica dolcezza del clima collinare: caldo temperato in estate, freddo asciutto d’inverno; mentre le stagioni intermedie, vuoi l’autunno, vuoi la primavera, sono particolarmente gradite e riposanti.
Concludendo possiam ben a ragione definire Mongardino terra benedetta cui madre Natura non è certo stata avara e dove è veramente possibile, in un clima di quiete e di serenità, ritemprare quelle forze oggi purtroppo sempre più insidiate dal convulso e vorticoso vivere dei nostri giorni.
Testo tratto dal libro di Augusto Martelli
“Mongardino storia e leggenda nell’appennino bolognese”
Bologna OVERSEAS 1973
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