Nota: articolo scritto da Giorgio Bertocchi nell’anno 1988 sulla pubblicazione “Cose in Comune”. La Cartiera del Maglio ha cessato l’attività nel 2008.
Chi, venendo dalla parte dì Bologna per la strada Porrettana, entra nel territorio comunale di Sasso Marconi all’altezza dell’oratorio di Romessuno, vede davanti a sé una sorta di anfiteatro naturale. La platea larga circa un chilometro che costeggia il corso del fiume Reno, è delimitata a destra dalle degradanti ed erbose colline di Moglio, Montechiaro, Mongardino e Lagune, mentre dalla parte sinistra i calancosi ed aspri balzi di Vizzano e di Mugnano lambiscono il fiume stesso e gli fan cornice. Le due linee collinari, lasciando uno stretto varco al passaggio del fiume, si saldano poi a mezzogiorno mediante i roccioni del Sasso e di monte Mariano che serrano l’anfiteatro a mo’ di palcoscenico. II sacro monte del Sasso chiude così la più bella valle dell’appennino bolognese: di sopra la natura cambia del tutto: la valle si restringe e le colline diventano montagne boscose che s’innalzano sempre più avvicinandosi al confine con la Toscana. Questa valle tanto privilegiata dalla natura non poteva sfuggire agli insediamenti dell’uomo che vi fu presente fino dall’età della pietra.I popoli etruschi e romani abitarono intensamente la valle lasciandovi frequenti ed importanti segni.
Diversamente non si comportarono gli uomini dei secoli che vennero dopo: fra il 1400 ed il 1800 diverse grandi famiglie bolognesi vi costruirono castelli, palazzi e ville di notevole rinomanza che furono talvolta al centro di vaste tenute agricole.
In queste residenze patrizie, la vicinanza di corsi d’acqua sollecitò anche imprese artigianali (come per esempio al Colle Ameno dei Ghisilieri), ma fu principalmente il Castello dei Rossi, per la sua bassa posizione quasi al livello del fiume Reno ad utilizzare industrialmente le acque mediante una presa posta immediatamente a monte del Castello stesso e relativo canale. E con le acque di quel generoso canale funzionarono, in vari tempi, due molini da grano, una cartiera, una pila da riso, un frantoio da olive, una segheria, ed un maglio di rame, oltre ad una serie di ingegni per l’uso dei fabbri, dei falegnami e dei coltivatori dì orti e campi.
Ma nella logica industriale nel secolo XIX occorreva pensare ai grandi stabilimenti ed allora, era il 1873, nella valle privilegiata ed esattamente in un luogo chiamato «il Maglio» di proprietà dei conti Rossi-Marsili, nacque la cartiera che ancora oggi si vede.
Il toponimo «il Maglio» derivò dalla presenza, nel punto più basso della valle quasi in confine con il comune di Casalecchio, di una officina per la fabbricazione di oggetti in rame, che si giovava, appunto, di un maglio azionato da energia idraulica.
Verso la metà del secolo quella officina fu condotta da Cesare Pasquini quale rappresentante della ditta Luigi Pasquini di Bologna e constava di «due opifici, ove si cola, e si batte il rame per far calderine, calcedri, e qualunque altro utensile di rame».
Questi due opifici erano composti da una «fonderia di Rame con annesse case per uso degli inservienti» e da una «piccola fonderia di Rame a poca distanza dalla suddetta principale»
Nel 1861 la rameria era condotta da Gioacchino Minarelli; una statistica di quell’anno trovò la seguente situazione:
L’officina lavora tutto l’anno, esclusi i giorni di festa e di precetto. I lavoratori sono retribuiti a mese.
Il rame si ritira la maggior parte dalla Fonderia della Briglia in Toscana ed i prodotti si esitano nelle Romagne. Nessuna associazione di mutuo soccorso o cassa di risparmio vi è fra i lavoranti in detta fabbrica.Da altra fonte archivistica si apprende che gli addetti ai magli, cioè i maglianti, furono due negli anni 1864-1865: Adamoli Antonio e Fortunato, padre e figlio, entrambi provenienti dal paese di Naro in provincia di Como.
I lavoranti, cioè i battirame, nello stesso periodo, furono invece quasi tutti della famiglia Colliva di Pontecchio.
Non sono note le ragioni per cui avvenne la cessazione dell’attività nell’officina di rameria al Maglio, fatto sta che il giorno 9 settembre 1873 «il Sig. Conte Cav. Carlo Marsili con promessa della più estesa garanzia, vende alla Società Brisi e Soci, per la quale il Gerente Sig. Eugenio Brisi (specialmente abilitato al predetto Atto istitutivo), accetta:La caduta dell’acqua del Maglio ed il terreno di questo nome ed i fabbricati ed opificio posto nel Comune di Praduro e Sasso facente parte della Tenuta denominata di Pontecchio di ragione di esso Sig. Carlo Marsili, distinto nel vigente Catasto nella Mappa di Pontecchio colle Marche dell’Urbano N 319-320-321 e 513, di superficie Ari 36, 80, estimo L. 4123.00, più li seguenti numeri al rustico 250-250/622, 467, 322, 323 e 324, tutti frazionari, e 325, e 326 interi per la superficie complessiva di circa ettari 6,88 – più una frazione del N. 248 riguardante il tratto di Canale che rimane entro la proprietà venduta.
La proprietà suddetta viene limitata a ponente dalla strada Provinciale di Saragozza, a tramontana dalla proprietà Pedrelli e forse altri, a levante dal Fiume Reno, ed a mezzogiorno da una linea condotta in sinistra parallelamente all’asse del Rio detto del Bazzano e distante da questo metri 5 fino all’incontro del Canale, quindi da una linea che ricorre lungo la spalla destra del tombino sul medesimo Rio di proprietà della Società Brisi e Soci.
Questo brano è preso dal rogito del notaio F. Ferrari, nella data soprascritta, il quale comprende una lunga serie di patti, condizioni e clausole riguardanti in special modo l’uso delle acque del canale (al fine di non danneggiare i superiori opifici dello Spolverino) e l’allargamento del canale stesso. Altri passi del rogito riguardano invece le condizioni di pagamento del prezzo generale che fu pattuito in L. 130.000.Acquistati i diritti di uso delle acque del canale, le vecchie case del maglio da rame ed il terreno circostante, la società Brisi e soci eresse dalle fondamenta un grande edificio per la fabbricazione di carta mediante un processo che utilizza gli stecchi della canapa, ossia i residui della pianta dopo che fosse stata macerata, scavezzata e denudata della fibra. I risultati ottenuti con gli stecchi della canapa furono del tutto insoddisfacenti tanto che più tardi vi si dovette rinunciare ed adattate la cartiera alla fabbricazione della carta a base di cenci.
La costruzione del nuovo stabilimento e l’ampliamento del canale durarono dal 1874 al 1876, e si era già intrapresa la fabbricazione della carta nel 1875, quando Eugenio Brisi rinunciò alla gerenza. Dopo aver preso in considerazione diverse soluzioni la società convinse il socio Giuseppe Marconi alla data del 26 marzo 1876 ad accettare la gerenza sotto determinati patti e convenzioni: la società per azioni, proprietaria della Cartiera di Pontecchio con un capitale di L. 250.000 (di cui L. 20.000 a nome del Marconi), prese così il nome di «Giuseppe Marconi e Soci». Credo che qui sia il caso di illustrare brevemente la posizione di Giuseppe Marconi in seno alla società per azioni proprietarie della cartiera, in concorso però della ditta Renoli, Buggio e Compagni (ossia del Banco Renoli e Buggio, con sede in via Indipendenza n. 2 nuovo).
Giuseppe Marconi aveva spostato nel 1855 Giulia Renoli, figlia di Giambattista Renoli, uno dei titolari del Banco suddetto, e da quel matrimonio era subito nato Luigi Marconi.Giulia Renoli morì poco tempo dopo e perciò Giuseppe ed il figlio Luigi ebbero interessi nella società della cartiera, come del resto altri Renoli o loro eredi.
E quando Giuseppe Marconi divenne gerente della cartiera, il piccolo Guglielmo faceva le prime corse nel prato della vicina villa Griffone sotto lo sguardo attento della madre Annie Jameson. Passarono però pochi mesi e la direzione della società cambiò nuovamente: divenne infatti gerente il socio Gaetano Dazzani, il quale, continuando l’azienda ad andar male, la mise all’asta nel 1877.
La cessione della Cartiera di Pontecchio, o Cartiera Val di Reno, nel luogo detto «il Maglio», avvenne soltanto il 24 novembre 1879, dopo che un incendio scoppiato nel magazzino degli stracci la notte del 10 ottobre aveva causato gravissimi danni alla già tanto travagliata industria. II compratore fu il conte Antonio Marescalchi, che, seguendo un progetto dell’ingegnere inglese Alfredo Edlmann, riedificò ed ampliò considerevolmente la cartiera che da quel momento, cominciò le sue fortune nel campo delle carte veline, con gli alti e bassi che fanno parte di tutte le cose di questa vita. Ma il discorso sulla cartiera, che nel corso dei suoi ormai 114 anni di vita ebbe, ed ha, un grande peso nella vita del nostro comune, è lungo e complicato: lo riprenderò quindi un’altra volta.
Tratto dal periodico del Circolo Filatelico “Guglielmo Marconi”
“Sasso & Dintorni” anno XVII n° 35
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