Dai documenti dell’Archivio Storico Comunale ai Laboratorididattici:
la vita degli scalpellini della Rupe.
La Rupe, il promontorio posto immediatamente a sud di Sasso Marconi, è un luogo carico di significati che ha avuto tanta parte nella storia di questa comunità. Basti pensare alla sopravvivenza del toponimo di Sasso, che si è addirittura esteso fino a designare il territorio dell’intero Comune. Con la scelta del particolare aspetto a cui questa mostra è dedicata si intende sottolineare l’importanza della Rupe non solo come elemento geografico e paesaggistico, ma come luogo di incontro e di relazione tra la presenza umana e l’elemento naturale. La Rupe ha rappresentato ad un tempo luogo di ricovero per i viandanti, importante punto di riferimento religioso e di pellegrinaggio, elemento di spartizione tra territori differenti, luogo minaccioso per la sua conformazione e teatro di tragedie causate dai crolli, ma ha rappresentato anche un simbolo di vita: accanto alle sensazioni di timore che la Rupe incuteva negli abitanti e nei viaggiatori, date dalle caratteristiche del sito e dalla conformazione della massa rocciosa incombente sulla strada che proprio in quel punto si restringeva, sovrastando il profondo baratro delle acque del Setta che confluivano nel fieno, vi sono aspetti tutt’altro che aspri. La terra arenaria da cui era costituita la Rupe e la sua vocazione ad essere facilmente scavata determinarono infatti lo sviluppo di una fiorente attività di cava sin da tempi molto antichi e l’arenaria di “Praduro-Sasso” venne impiegata sia nell’edilizia locale che a Bologna. Protagonisti delle vicende legate al Sasso furono quindi gli scalpellini e i tagliapietre che traevano il loro sostentamento dalla produzione di molti manufatti in “pietra di macigno” (gradini; cornicioni, abbeveratoi o ancora, seguendo le efficaci descrizioni di G.B. Comelli “acquai, focolari, fornelli, altari”) e furono per diversi secoli i suoi veri abitanti. La presenza dell’importante strada che collegava Bologna a Pistoia e le caratteristiche del luogo, ricco di cave e confortato spiritualmente dal Santuario, fecero sì che questa zona si popolasse densamente, dando luogo ad un insediamento alle sue pendici, Cà de Gasparri, le cui dimensioni erano notevoli, tanto da risultare nel XVIII secolo uno dei borghi più popolati della Valle del Reno. l’antica strada Saragozza, oggi via Porrettana, arrivata alla Rupe piegava in basso verso il fiume per l’odierna via Gasparri con una stretta curva, detta la “Volta del Sasso” ricavata da un taglio nella roccia, e ritornava in alto attraverso la località Fontana. Buona parte degli abitanti basavano la propria sussistenza sull’attività di cava ma il borgo aveva una sua spiccata autonomia, essendo abitato da persone che svolgevano anche mestieri diversi, bottegai, filatrici, fornai e calzolai. E’ stato ipotizzato che il periodo di maggior splendore dell’attività di cava sia stato a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Lo spostamento della Madonna del Sasso avvenuto a seguito dei crolli del 1789 e il taglio della Rupe del 1829 ebbero sulla comunità una grande influenza. Se in un primo momento quest’ultimo fu accolto favorevolmente da tagliapietre e scalpellini, che intravedevanó possibilità di trasporto più velocì e sicure, in realtà con lo spostamento del percorso che evitava il 1 passaggio per la stretta “Volta del Sasso”, Cà de’ Gasparrì si ritrovò ad occupare una posizione defilata rispetto al traffico della strada principale, da cui conseguì l’inizio di un lento declino e”‘ I borgo. Si deve aggiungere la chiusura, per ragioni di sicurezza, della Cava Grande, da cui era ricavato il materiale più pregiato, e di altre cave, a cui seguì, per tamponare la crisi dell’industria del macigno, l’apertura di nuove, che però non portò mai all’abbandono definitivo delle attività di scavo in quelle vecchie, sebbene ormai proibite. Infine contribuirono alla decadenza del borgo e del lavoro nelle cave anche ragioni di carattere più generale, da ricercare nel declino, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, della richiesta della “pietra di Praduro e Sasso” per le costruzioni e in un’epidemia di colera (1855) che riuscì a mietere numerose vittime. Le cavità semiabbandonate si popolarono così di abitanti particolarmente ridotti alla disperazione che vissero qui finché la frana del 1892 non giunse a decimarli. La ricerca sugli scalpellini non ha permesso solo di approfondire un aspetto significativo della storia di questa comunità, in cui si intrecciano, nella relazione con un luogo fisico così carico di significati, la dimensione lavorativa, quella dell’abitare e quella della socialità, ma anche di mettere in luce, ancora una volta, lo straordinario valore dei documenti di archivio che sono stati scelti allo scopo di rappresentare, appunto, le diverse sfere coinvolte in questa storia e di mostrarci come sia possibile seguire le tracce dei nostri scalpellini attraverso documentazione motto diversa. Passiamo dai primi documenti del Carteggio Amministrativo, che rappresentano momenti di vita quotidiana in cui gli scalpellini prendono la parola per rivolgersi alle autorità, ai fogli di casa, che ci permettono di disegnare una mappa dei nomì, fortemente evocativi, delle case sotto e dentro la Rupe (Grotta, Busanone, Sotto la Volta, Sotto il Sasso…), ai fogli di famiglia, che raccontano chi abitava in queste case, che mestiere faceva e se sapesse leggere e scrivere. la ricerca potrebbe proseguire ancora e potranno essere proprio gli studenti a farlo, portando alla luce nuovi aspetti della vita di persone che per il loro lavoro si confrontavano quotidianamente con la fatica e l’asprezza, ma che erano anche portatori di un’arte, quella di “sentire la pietra” e di sapere tagliare, levigare e modellare queste asprezze fino a trasformarle in stupefacenti opere di pregio. Non ci sono più a Sasso scalpellini che possano raccontare la loro storia e il loro lavoro, ma cercheremo di portare comunque una testimonianza orale sull’arte della pietra per innescare il circolo virtuoso provocato dall’affiancamento di fonti diverse, scritte, fotografiche e orali, così efficace nel racconto di una storia.
Di seguito le foto delle cavità della Rupe di Sasso Marconi tratte dalla rivista di speleologia del GRUPPO SPELEOLOGICO BOLOGNESE e dell’UNIONE SPELEOLOGICA BOLOGNESE
anno XXXVII n°106 – Gennaio-Giugno 1998