Il fascismo a Sasso Marconi

La marcia su Ravenna

Sono gli albori del fascismo rappresentati in questa fotografia dietro la quale c’è scritto “Ravenna settembre 1921”. é la marcia su Ravenna, la prima marcia in camicia nera che, prende spunto dal sesto centenario della morte di Dante, porta le squadre di Italo Balbo e di Dino Grandi in Romagna. La tomba del poeta da omaggiare è la scusa, la camera del lavoro e le sedi delle cooperative da distruggere i veri obiettivi. In posa alcuni componenti del fascio di combattimento di Sasso Bolognese, come compare scritto sulla bandiera.

Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese

il secondo Battaglione della “Santa Justa”, la Brigata che operò in particolare a Sasso, fotografato subito dopo la entrata in Bologna il 21 aprile 1945

Fino al 1935 il comune era chiamato Praduro e Sasso (il nome della rupe che sovrasta il capoluogo), diventò poi Sasso Bolognese e, infine nel 1938, assunse il nome di Sasso Marconi in omaggio allo scienziato scomparso l’anno precedente. Fin dai primi anni del secolo, si delineò in Sasso un movimento operaio che nel 1914 portò alla conquista del comune da parte
delle organizzazioni operaie.
Questa vittoria fu confermata nelle elezioni amministrative dell’autunno 1920 in cui prevalsero i socialisti che, presentatisi in due liste, ebbero i seggi di maggioranza e minoranza.
La riunione d’insediamento del consiglio comunale avvenne il 14 novembre 1920 e nella stessa seduta venne eletto sindaco Francesco Bonola, radicale. Tale amministrazione conobbe un’esistenza breve e travagliata per il prepotente imporsi delle squadre d ’azione fascista, come dimostrano le dimissioni che il primo cittadino presentò nella primavera del ’21.
Il sindaco Bonola lasciò l’incarico il 12 giugno 1921 e fu sostituito da Aristide Camozzi, socialista. Il 21 agosto successivo l’intero consiglio si dimise poiché – come si legge nel verbale del consiglio – “l’amministrazione trovasi nell’impossibilità di funzionare”. Dal settembre la gestione del comune passò ad un Commissario prefettizio.
Durante gli anni del regime fascista, sei nativi di Sasso furono deferiti, processati e condannati dal Tribunale Speciale (Aula IV)-, Vittorio Suzzi (classe 1900), magazziniere, nel 1941, subì una condanna al confino a Ventotene, poiché, arruolatosi nell’ottobre del 1936 in Spagna nel battaglione Garibaldi, aveva partecipato alla lotta contro i rivoltosi capeggiati dal generale Francisco Franco in difesa della repubblica
iberica, rimanendo due volte ferito (Spagna e Confinati).
Dopo l’8 settembre la popolazione si impegnò ad aiutare i soldati in fuga ospitandoli nelle proprie case e donando loro abiti con i quali sostituire le divise. Anche il parroco di S. Nicolò delle Lagune, don Gabriele Mario Bonani, si impegnò nascondendo partigiani e prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento del Nord e salvando loro la vita. Per questo la sua canonica venne perquisita, la chiesa profanata e subì un arresto. Settimane dopo alcuni giovani si organizzarono in un gruppo che scese sul terreno dell’azione. Questi giovani si aggregarono poi alle due brigate operanti nella zona, la 63a “Garibaldi” e la 9a “Santa Justa”, ed altri ancora alla Brigata “Stella rossa”.
La “Santa Justa”, che si era formata dopo il settembre 1943 per iniziativa del dottor Pino Nucci nella frazione di Ceretolo (Casalecchio di Reno), ebbe in territorio sassese basi molto importanti e disseminate: nell’abitato di Sasso, a Lagune, Badolo, Battedizzo, Ganzole, Monte Belvedere, Pieve del Pino. Nel capoluogo, dove risiedette per un certo periodo anche il comando della brigata, alla Locanda Nuova era l’ambulatorio dove esercitava il dottor Gino Nucci, responsabile sanitario della brigata. Il primo colpo di mano in territorio comunale compiuto dal gruppo fu l’attacco ad un deposito di munizioni della Quiete che portò al recupero di 200 spolette da cannone, il 12 ottobre 1943. I partigiani della “Santa Justa” (che ebbero tra loro anche ex prigionieri di guerra inglesi ed un gruppo di russi che avevano disertato dall’esercito tedesco), nei mesi successivi compirono numerose azioni: diffusione di materiale di propaganda, esposizione di cartelli (usando anche il metodo di lanciarli con fionde e appenderli ai fili dell’alta tensione rendendoli così di difficile distruzione da parte dei nazifascisti), semina di chiodi, tagli di cavi telefonici, incendi di mezzi militari e di fusti di benzina, ecc. Nel mese di agosto 1944 asportarono documenti dal distretto militare di Bologna che aveva sede a Casalecchio di Reno (il 14), attaccarono una camionetta sulla “Porrettana” da Sasso verso Bologna, assaltarono carriaggi tedeschi a Pieve del Pino ed alle Ganzole il 20. Sul finire del mese, il 25, le SS tedesche catturarono alle Lagune Franco Samoggia della “Santa Justa”, e, dopo un sommario interrogatorio, Io impiccarono in presenza della popolazione e dei familiari. L’agonia del partigiano fu lunga più di sei ore fin quando un tedesco lo finì con un colpo di fucile.
Gran parte della popolazione, collaborò con i partigiani. Nutrì, nascose, vestì e curò i clandestini a rischio della propria vita, infatti le truppe tedesche avevano l’ordine preciso di punire duramente i civili che prestavano il loro aiuto ai “ribelli”. Gruppi di donne svolsero un ruolo essenziale per l’organizzazione militare delle brigate, furono infatti le staffette che permisero i collegamenti fra le varie squadre partigiane dislocate nelle basi sulle colline, oltre a garantirne la sussistenza. Fu proprio grazie a questa collaborazione che i partigiani in armi ebbero la possibilità di sopravvivere.
Il “Bollettino” mensile del Comando Unico Militare Emilia Romagna del Corpo Volontari della Libertà segnalò che nel territorio comunale di Sasso, nel solo mese di settembre, si verificarono le seguenti attività partigiane: a Badolo venne giustiziata una spia della X Mas (il 3); a Mongardino fu attaccata un’auto tedesca (il 21); sulla strada tra Sasso e Marzabotto vennero attaccate due auto tedesche e si ebbero 2 morti e 4 feriti e, nel capoluogo, fu assalito un piccolo presidio tedesco, con un morto ed un ferito, furono incendiati anche 250 quintali di fieno (il 23).
L’8 settembre 1944 in località Rio Conco di Vizzano, dopo esser state costrette a scavarsi la fossa, per rappresaglia furono uccise 15 persone a raffiche di mitraglia; erano 7 di Rioveggio di Monzuno, 3 di San Benedetto Val di Sambro \ 2 di Grizzana; 2 di Loiano e un toscano la cui identità è rimasta ignota.
Nel borgo settecentesco di Colle Ameno, lungo la “Porrettana”, dal 6 ottobre al 23 dicembre del ‘44, le SS insediarono un vero e proprio campo di prigionia nel quale rinchiusero gli uomini abili al lavoro che catturarono durante diversi rastrellamenti o ai posti di blocco volanti allestiti in varie occasioni. I rastrellati erano poi trasportati nei territori immediati del retrofronte tedesco e costretti ad eseguire lavori di fortificazione. All’interno di questo campo furono perpetrate violenze, fucilazioni e seppellimenti, tanto che nel dopoguerra, nel prato al centro del complesso, furono ritrovate 50 salme, tra le quali quelle di diversi abitanti di Sasso e di rastrellati di Marzabotto.
L’8 ottobre 1944, in località Rasiglio, un numeroso gruppo di partigiani della 63a Brigata venne accerchiato a Ca’ Cavallaccio da un soverchiante numero di tedeschi. Scoppiò una furiosa battaglia nel corso della quale, dopo accanita resistenza, la maggior parte dei partigiani si aprì un varco per sfuggire alla morsa. Dentro la casa caddero 10 patrioti. Tredici furono fatti prigionieri e impiccati due giorni dopo presso il cavalcavia ferroviario di Casalecchio di Reno.
Il 9 ottobre i tedeschi fucilarono due sorelle, di 45 e 47 anni, ed il loro padre settantaquattrenne (Isabella, Maria e Virgilio Ceretti) forse perché sorpresi a portare acqua alla base partigiana dove avevano ripiegato i combattenti di Ca’ Cavallaccio. I feriti della battaglia riuscirono a nascondersi in un rifugio scavato nella roccia dove furono soccorsi e curati dal dottor Vittorio Patrignani. Le cure da lui prestate ai partigiani, in questa e in altre occasioni, gli costarono prima la devastazione della casa e poi la vita: infatti
venne fucilato dai nazisti il 5 novembre 1944.
In previsione di un’imminente liberazione, i partigiani della “Santa Justa” il 9 ottobre 1944, in iniziarono lo sganciamento verso Bologna, che si intensificò in novembre e si completò il 16 gennaio 1945.
Poi agirono a Bologna.
Nel novembre 1944 la gran parte del territorio fu sottoposta dai tedeschi ad evacuazione obbligatoria e la popolazione fu costretta a lasciare le proprie case ed a trasferirsi a Bologna. Le abitazioni forzatamente abbandonate furono preda delle ruberie dei fascisti e dei tedeschi, tanto che, alla liberazione, la maggior parte delle persone non ritrovarono più nulla delle loro proprietà.
L’abitato del capoluogo, nei mesi successivi, subì una massiccia d istruzione per i bombardamenti degli Alleati.
Nel citato “Bollettino”, per il mese di marzo 1945, vennero segnalate sulla “Porrettana” tre importanti azioni di sabotaggio del traffico tedesco per mezzo di spargimento di chiodi: il 3 fu bloccato un automezzo, il 4 un autocarro militare e l’8 furono immobilizzate sette macchine.
Il comune di Sasso Marconi venne liberato il 21 aprile 1945 .
Su designazione del CLN locale venne insediata una Giunta comunale ed il sindaco Guido Bertacchi.
Il Comune è stato decorato della croce di guerra al valor militare.
Questo il testo della motivazione:
«Custode di gloriose tradizioni risorgimentali e garibaldine, strenuo oppositore della dittatura fascista, il Comune di Sasso Marconi, dopo l ’8 settembre 1943, innalzò il vessillo della Resistenza armata, cui concorsero tanti dei suoi cittadini, in Italia e all’estero. Situato in posizione strategicamente rilevante per le forze di occupazione nazi fasciste, ne subì la massiccia presenza, i soprusi, gli orrori, sempre contrastandoli con azioni di guerriglia urbana e campale, atti di sabotaggio ed audaci propositi di cospirazione, che gli costarono lutti e distruzioni. I suoi numerosi caduti in combattimento, i fucilati, le donne e i bambini trucidati a Colle Ameno, Mongardino, Battedizzo, Ponte delle Lepri, costituiscono un’altra testimonianza della irriducibile volontà di Libertà della sua gente».

il periodo fascista a Sasso Marconi tratto da libro di Luigi Arbizzani
Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese Comune per Comune
ANPI Bologna

  • Bibliografia essenziale
  • Su Sasso Marconi in Bologna Partigiana, 1943 – 1945, edito nel
    1951, sono brevi biografie e foto di
    trenta patrioti caduti.
  • RENATO GIORGI, Sasso Marconi
    cronache di allora e di dopo, Bologna, 1976

approfondimenti

https://www.storiaememoriadibologna.it/sites/default/files/202401/liberazione-comxcom2.pdf