Tratto dal semestrale n.3 “al sâs” del Gruppo di Studi “Progetto 10 Righe”
a cura di Brillantino Furlan
Anche se siamo in febbraio e l’aria è un po’ frizzante, è bello camminare e guardarsi attorno: la natura sta ancora dormendo, però qui alla “Fontana” il verde è dominante, creato, in parte, da alberi importati da luoghi lontani.
Si vedono degli alberi di Cedro dell’Atlante o Cedro africano (Cedrus atlantica), originario della regione montuosa dell’Algeria e del Marocco. Il suo odore intenso allontana gli insetti. Fu introdotto in Europa nel 1827.
In alto, sulla Rupe, mi spiega il signor Augusto Martelli, si vede una piantagione di Pino domestico e cipressi, eseguita negli anni 30 sulla sponda nuda e chiamata dai paesani “Bosco dell’Impero” in omaggio alla formazione dell’Impero italiano d’Etiopia. Il Pino domestico o Pino da pinoli (Pinus pinea) è conosciuto fin dall’antichità ed è originario delle regioni mediterranee settentrionali e orientali. La maturazione dei semi avviene in tre anni, dopo di che le squame si aprono lasciando cadere i semi, ma le pigne restano ancora per molto tempo sull’albero.
Incontriamo il Cipresso dell’Arizona (Cupressus arizonica) originario dei monti dell’Arizona e del Nuovo Messico settentrionale ad altitudini fra i 1300 e i 2400 metri; cresce al massimo 20 metri e si distingue dagli altri cipressi per il colore azzurro del fogliame dall’odore sgradevole. Venne importato negli anni ’60 dai nostri vivaisti. Vediamo una Metasequoia glyptostroboides, specie trovata allo stato fossile in Giappone nel 1941 e poco dopo anche allo stato vivente in Cina. Da lì fu introdotta in Europa e in America. Basta un rametto infilato in terra perché cresca una nuova pianta. L’albero nel borgo “Fontana” ha 20 anni e cresce un metro all’anno.
Anche un “fossile vivente” troviamo lungo Via Gasparri, la Araucaria araucana. Il nome deriva da una tribù indiana, gli araucani. Gli indigeni usavano il seme cotto come cibo; è nativa delle Ande nel Cile.
Stiamo camminando per via Gasparri, strada a mezza costa, antico tracciato della via Porrettana, via maestra già all’epoca degli etruschi. II signor Martelli mi racconta che il borghetto con case in sasso è stato raso al suolo durante la guerra. Nel libro “la Madonna del Sasso” si vedono riproduzioni di vecchie cartoline del borgo con le case degli scalpellini appoggiate alla Rupe e le stanze scavate dentro la roccia. Si vedono anche le scale intagliate; solo la facciata degli edifici, o poco più, era in muratura. Ora invece rimane intatta solo l’ultima abitazione degli scalpellini posta al di sotto del cosiddetto “monolito”. Sarebbe un peccato che questo monumento storico sparisse. Gli scalpellini facevano anche pilastri con disegni di pigne, di foglie e altro, come si può vedere all’Oratorio di Sant’Apollonia.
Nel 1829 la Rupe venne tagliata. Il masso, rimasto isolato, è conosciuto con il nome di Monolito di Ca’ de Gasparri. Successivamente questo masso venne abbassato e demolito in modo che non creasse pericolo per la strada. Nel 1904, fra le rocce della Rupe, venne rinvenuto uno scheletro di animale preistorico.
Passando davanti ad un muro, il Sig. Martelli mi fa notare un sasso con un frammento di iscrizione latina. La storia è ampiamente descritta nel volume “La Madonna del Sasso” di cui il sig. Martelli è uno dei quattro autori.
Egli cosi racconta: “L’antica chiesa fu eretta nel 1283 dentro alla Rupe. All’interno del santuario si trovavano delle tombe con le rispettive lapidi, poiché, a quel tempo, i morti venivano seppelliti nelle chiese. Nel 1700 un predicatore, frate cappuccino, morì proprio mentre era da queste parti a predicare e fu sepolto nella chiesa della Madonna del Sasso. Gli fu fatta la lapide con un testo molto lungo. Un bel giorno, – racconta il signor Martelli – mentre Ugo Guidoreni ed io passavamo di qui, trovammo un sasso molto strano incorporato in un muro eretto dopo l’ultima guerra. Su questo frammento erano incise delle lettere. Svolgo ricerche negli archivi di Bologna perché, secondo me, quel sasso doveva provenire dall’antico santuario. Infatti, quando la chiesa, nel 1787 minacciava di crollare, fu dato l’ordine di svuotarla e portare via la Madonna. Poi, la chiesa assieme alle epigrafi funerarie venne parzialmente minata e fatta saltare. A forza di frugare negli archivi, riuscii a trovare l’autore che aveva raccolto tutto quello che era inciso sulle lapidi. Con questo piccolo frammento ho cosi trovato l’iscrizione completa. E’ stata tradotta ed è apparsa la lapide di quel frate che era morto improvvisamente nell’anno 1700. Questo è l’unico frammento che resti dell’antica chiesa dopo l’esplosione. A dire il vero, è una reliquia incassata nel muro. Questo sasso è fatto di arenaria friabile, non compatta e col tempo si sgretola”. Il Sig. Martelli mi racconta anche dello scherzo che gli antichi abitanti di Via Gasparri avrebbero fatto agli zingari con il trafugamento di un pollo dalla loro pentola. E’ bello sentir parlare la gente che è vissuta a lungo nel luogo come Augusto Martelli. Egli si esprime con sicurezza e passione; chissà quante altre informazioni di Sasso Marconi ci potrebbe fornire.