Sono passati 106 anni dal crollo della Rupe. Una notevole quantità di roccia si staccava dal monte del Sasso e abbatteva 5 case provocando 14 vittime e ferendone altre 10, era il 24 giugno del 1892.
La vita della piccola comunità è legata alla storia della Rupe, è questo monte che darà il nome al Comune; Sasso fin verso la fine del 1700 circa – Praduro e Sasso dai primi del 1800 e fino al 1935 – Sasso Bolognese dal 1935 al 1938 – infine dal 1938 in poi, un anno dopo la morte di Guglielmo Marconi, in onore del grande scienziato, Sasso Marconi.
Anticamente la sede del Comune era alla Fontana, ma dopo la “traslazione della Madonna del Sasso” dal santuario scavato nella roccia della Rupe, al nuovo santuario del Borgo (il centro attuale) porterà alla nascita di un nuovo centro che poi ospiterà la sede del Comune. Ricordo che ancora negli anni 50 – 60 e anche dopo, la gente del luogo non diceva “vado a Sasso” ma “vado al Borgo” (a vag al Bourg).
Sulla storia della Rupe, del suo Santuario e delle sue disgrazie, credo si sia già detto tutto, a me spetta solo il compito di ricordare i punti più salienti della sua storia in questo breve articolo.
Non vi è data precisa dell’anno in cui l’uomo a forza di martello e scalpello si aprì un varco rasente la parete del monte, fino alla Volta per poi girare a sinistra e scendere alla Fontana passando da Borgo Gasparri e proseguire verso Porretta.
Sicuramente questo passaggio, stretto e insicuro, fu iniziato qualche secolo prima del 1283, anno in cui frate “Giovanni da Panico”, scavò nella roccia quasi al centro del monte, un oratorio dedicato alla “Beata Vergine del Sasso”, Madonna seduta con le mani giunte in atto di adorare Gesù Bambino steso sulle ginocchia.
Nell’anno 1477 Nicolò Sanuti primo Conte della Porretta, che sul finire del XV secolo edificò a poche centinaia di metri dalla Rupe, una nobile villa di villeggiatura con all’interno del cortile una copiosa fontana che poi darà il nome sia alla villa (Villa Fontana o Villa Sanuti) che al borghetto di case che nel tempo verranno costruite li attorno, fece a sue spese ampliare notevolmente l’oratorio, che da allora in poi verrà chiamato Santuario.
Aveva forma quasi rotonda per una lunghezza di metri 13,68 una larghezza di metri 9,50 con tre altari intagliati nel sasso. Il santuario subì ancora modifiche e ingrandimenti, lavori che aumenteranno il pericolo di cedimenti, perché per una ragione o per l’altra, lo scalpello non cesserà mai di ampliare e di asportare.
Nel 1660 D. Bettino , che ebbe il rettorato del santuario, fece scavare una canonica a fianco e comunicante con il santuario. Nel 1738 il capomastro Taruffi, portò la lunghezza del santuario a metri 15 e la larghezza a metri 12,35.
Si legge nel libro “La Rupe e il suo Santuario” edito dal Comelli e poi ristampato da Giorgio Bertocchi, che in quel periodo il complesso comprendeva: una canonica – un oratorio – una sagrestia – il santuario con tre altari e due cappelle, compreso di confessionale, panche, banchi, non meni di 36 arcibanchi, pulpito, organo e cantoria.
La canonica scavata da D. Bettino, sicuramente ampliata dai suoi successori comprendeva una loggetta d’ingresso, una sala, una stanza, una saletta detta dell’orologio, dispensa, cucina, acquaio, cantina, portico e stalla, mentre due camere più grandi formavano il piano superiore.
Nel 1786 l’architetto Tadolini lamentava che, per l’erezione di due pilastri di sostegno di una campana si fosse voluto guadagnare altro spazio con ulteriore scavo, era apparsa una grossa crepa che dalla sagrestia percorreva tutta la chiesa nella sua lunghezza fino alla casa del rettore. È appunto in una domenica sera del mese di gennaio 1787 che una grossa falda si stacca dal cielo della grotta piombando quasi al centro del santuario. Se questo fosse avvenuto qualche ora prima avrebbe fatto strage di fedeli accorsi ai vespri della domenica.
La storia della Rupe, negli ultimi secoli è un susseguirsi di crolli sempre di modeste dimensioni, che creeranno problemi e vittime tra i viandanti e gli scalpellini, ma che tralascio per questioni di spazio.
Dopo il crollo all’interno della chiesa, il Governo di Bologna e le autorità locali invieranno, preoccupati per l’accaduto, Giacomo Dotti architetto del Senato e il perito Francesco Rossi, poi sarà la volta dell’ingegnere Tadolini a fare una sua perizia, con il risultato che tutti convenirono sulla gravità e pericolo che ora la chiesa comportava. Quindi si ordinerà di chiudere il Santuario e tutte le cave esistenti attorno alla Rupe. Per chiarimento, a chi, volesse sapere con maggiore precisione dov’era il celebre Santuario, venendo dalla Fontana verso Bologna, vedrà a sinistra della parte del monte, i grandi muri di sostegno che furono edificati dopo la frana del 1892. Questi appunto cominciano dov’era la sacra grotta o oratorio fatto da frate Giovanni da Panico, più avanti le 4 arcate – dalla seconda cominciava la lunghezza del santuario fino alla quarta arcata, dopo la quale era l’abitazione del rettore. Poco oltre alla porta in ferro doveva esserci l’antica porta maggiore del Santuario.
Con delibera del Senato di Bologna, viene fissato per il 31 maggio 1787 il giorno della traslazione della Madonna, dal Santuario della Rupe al Borgo del Sasso. È la seconda domenica del mese e si calcola che almeno tremila persone abbiano partecipano alla sacra processione. La sacra immagine troverà ospitalità nell’oratorio di Villa Ranuzzi e vi rimarrà per 44 anni.
Fin dal principio era nata l’idea di edificare il nuovo Santuario in mezzo al Borgo. L’ 11 ottobre 1891 fu presentato un progetto dell’architetto Angelo Venturoli, che verrà approvato, ma i lavori tarderanno ad iniziare poi andranno rilento a causa dei tumulti Napoleonici e l’epidemia di tifo. Il 17 aprile 1822 si delibererà di riprendere i lavori e solo il 18 settembre 1831 La Madonna lascerà l’oratorio per la nuova chiesa al centro della piazza del Borgo.
Ma torniamo alla Rupe, partita la Madonna si decide con tempestività di chiudere il santuario e di tagliare la roccia che troppo sporgeva fin oltre il ciglio della strada.
Si useranno mine a fornello e il solito scalpello, il lavoro sarà lungo e subirà rallentamenti a causa di piccole frane e incidenti, terminerà comunque nel giugno del 1789. Verrà pure allargata la strada, dato che la base nel punto più stretto era appena di m. 2,50.
Voglio ricordare che nel 1784 ci fu un primo divieto con la proibizione di qualsiasi taglio e esportazione di roccia dalle caverne. Ma pochi anni dopo si riprese a tagliare fino a che il Senatore Marescalchi nel 1792 vietò di nuovo qualsiasi taglio e ordinò di chiudere l’ingresso delle cave con muri di calce. Cessata questa attività, molte famiglie si troveranno subito con grossi problemi di sussistenza, cosicché qualche mese dopo, si permetterà di riaprire nuove cave, nel versante verso la Fontana , più lontano e con minor rischio per i viandanti.
Sasso e i suoi cittadini, saranno partecipi e subiranno tutte le tristi conseguenze delle guerre Napoleoniche, vittorie e sconfitte, e continui cambiamenti di Governo:
- Governo Pontificio fino al 1796;
- Repubblica Cispadana dal 1796 al giugno 1797;
- Repubblica Cisalpina dal 29 giugno 1797 all’agosto 1799;
- Occupazione Austro-Russa dall’agosto 1799 al giugno 1802;
- Repubblica Italiana luglio 1802 al marzo 1805;
- Regno d’Italia – dal 31 marzo 1805 all’aprile 1814;
- Occupazione Murat – aprile 1814
- Occupazione Austro-Inglese – aprile e maggio 1814;
- Governo provvisorio Austriaco dal maggio 1814 al 1815;
- Governo Pontificio dal 1815 in poi.
Tutto questo travaglio in soli 19 anni. Quindi dopo il trattato di Vienna che assegnò allo Stato Pontificio i territori precedentemente occupati dai francesi, tutto tornò come prima, tranne un cospicuo aumento della miseria tra le masse; chi era ricco rimase ricco, chi era povero rimase più povero. È dunque in questo periodo, che diverse famiglie del luogo non potendosi pagare un affitto, andranno ad abitare nelle cave della Rupe, come avevano fatto i trogloditi (uomini delle caverne) migliaia di anni prima.
Intanto chi passava sotto la Rupe , trovava uno strano spettacolo.
Gli avanzi e le rientranze del santuario dai quali era stata staccata la parte che più minacciava con il taglio del 1787, aveva cominciato a servire da ricovero a qualche errante accattone, poi a qualche famiglia povera, così in pochi anni là dove prima si ammirava un originale e sacro luogo di culto, ora si era trasformato in un villaggio di trogloditi. Dalla descrizione del Comelli si ricava che, nell’anno della frana abitavano ben 33 famiglie, 18 nelle cave e 15 nelle case grotte sotto la Rupe. Delle 8 cave esistenti, solo una non fu abitata, quella sopra la Tintoria , sulla strada che porta sopra al monte e che ancor oggi serve da magazzino . In una cava soltanto abitarono ben 5 famiglie, con due entrate e divise fra loro da canne intrecciate come si usa negli orti. Il focolare era senza camino, letti e tavole di pietra.
Anche la Porrettana ebbe in quegli anni una sua radicale sistemazione e lo si fece pensando principalmente alla miseria e alla fame dei paesi della montagna, cercando di alleviarla dando loro lavoro, si deliberò la costruzione della strada provinciale sino al confine con la Toscana i lavori iniziarono il 22 febbraio 1816 e dureranno trent’anni ed è in questo periodo, nell’anno 1822 che l’ingegner Giuseppe Berti presenta la proposta di andare alla Fontana senza scendere da casa Gasparri, ma aprendo un varco nella roccia. Il taglio fu eseguito nel 1829 lasciando sulla sinistra un grosso monolite che verrà dimezzato nel 1904 e la metà rimasta e quella che si vede attualmente.
Negli anni seguenti, avuto la Porrettana un nuovo tracciato che costeggiava il fianco sinistro della Rupe, rese più agibile il trasporto delle pietre estratte nelle nuove cave le quali crebbero d’importanza. Agli abitanti delle grotte si finì col pretendere veri e propri canoni d’affitto e lo scalpello continuò indiscriminatamente la sua opera. Di tanto in tanto si vietava e poi si riprendeva.
Con lettera datata 19 maggio 1836, la Legazione del Governo Pontificio di Bologna, lamentava al Sindaco di Praduro e Sasso, che pressanti reclami vi erano giunti da parte di cittadini per i gravi pericoli cui trovasi esposti i viandanti per le continue escavazioni del monte. Escavazioni straordinariamente ampliate mentre, precise disposizioni emanate dallo stesso Governo fin dal 1818, ordinavano la chiusura di tutte le cave esistenti e pericolose, si lasciava scavare per altri due anni in cave più lontane e sicure in modo da non chiudere questo tipo di industria da un giorno all’altro e dare agli scalpellini il tempo di trovare altra occupazione.
Quindi il Governo di Bologna rimproverava severamente il Sindaco per le inadempienze alle disposizioni emanate e ordinava di nuovo la chiusura immediata di tutte le cave esistenti, usando persone di sua fiducia e se necessario anche la polizia locale per il controllo e la vigilanza che il divieto sia rispettato e la missiva termina dicendo: “Ella avvisi chiunque osasse frapporvi opposizione, delle severe misure cui andrebbe irremissibilmente soggetto”. Ma anche questo nuovo avvertimento cadrà presto nel vuoto.
Il tempo scorre lentamente, scompare il Governo Pontificio, si fa l’Unità d’Italia, i problemi e la miseria rimangono e attorno alla Rupe si scava ancora. È una notte senza luna, mancano pochi minuti alle ore 3 del mattino del 24 giugno del 1892, quando un terribile boato simile a un terremoto sveglia i cittadini delle borgate adiacenti alla Fontana e al Borgo del Sasso. La Rupe è franata.
Corsero i cittadini più vicini a prestare i primi soccorsi, mentre le campane della chiesa del Borgo suonavano a martello.
Circa 2.500 metri cubi , 50.000 quintali di roccia, si erano staccati dal monte frantumandosi, formando macigni di ogni tipo e dimensione, distruggendo le cinque case sottostanti.
La frana non avvenne per smottamento, come spesso accade, ma per distacco di una parte della roccia. Soltanto tre anni prima le case nella zona interessata dalla frana erano 4, poi vedendo che restava un certo intervallo di rupe fra la prima e la seconda casa, si ebbe l’infelice idea di scavare in quel luogo una quinta casa, venendo così a mancare un solido pilone sotto la roccia.
Non tutti i 38 abitanti delle 5 case perirono nella frana, ma soltanto quelli che ebbero la sfortuna di avere le camere da letto verso la strada, mentre chi aveva la camera scavata all’interno del monte si salvò. Era da poco caduta la roccia quando il treno n. 7 partiva dalla vicina stazione di Sasso verso Porretta. Il frastuono della frana indusse sicuramente il macchinista a proseguire lentamente e la rapida azione di un cantoniere riuscì a fermare il treno nei pressi del Ponte del Diavolo a poche decine di metri dalla frana evitando così un ulteriore disastro. La ferrovia, che passa proprio sotto alla Rupe, era ostruita da grossi macigni. (Si ricordi che allora la ferrovia che passava da Sasso era l’unico collegamento ferroviario esistente fra il Nord Europa e Roma. Il treno sopraccitato aveva un vagone Berlino – Roma).
Intanto sul luogo del disastro arrivano i primi soccorsi e l’alba di lì a poco evidenziò in tutta la sua crudezza il disastro.
Le case sventrate a metà, le grida dei feriti, i superstiti che nudi uscivano fra le rocce, poiché si era già in estate e nessuno aveva l’usanza e la possibilità di indossare un pigiama o una vestaglia, sassi e polvere che continuavano a cadere per l’assestamento, davano agli impotenti soccorritori, una visione dantesca. I feriti furono sistemati in una casa di Borgo Gasparri e si inizia subito il lavoro per liberare la strada con la speranza di trovare ancora qualche superstite. L’ultima vittima verrà estratta solo 10 giorni dopo.
Intanto si formano comitati per raccogliere fondi per i disastrati del Sasso.
La notizia della sciagura ebbe un eco nazionale, ne parlarono tutti i giornali dell’epoca e le provvidenze non tardarono ad arrivare.
Voglio ricordare le più significative: Lire 5.000 dal Re d’Italia Umberto I°, altrettanto dai Ministri dell’Interno e di Grazia e Giustizia, qualche migliaio di lire lo raccolsero i giornali, mentre altre offerte giunsero dai Comuni della Provincia ai quali il sindaco di Sasso si era appellato, e da privati benefattori.
Voglio ricordare inoltre che Lorenzo Stecchetti organizzò una recita di beneficenza e in quell’occasione recitò il seguente epigramma:
FU LA SCENA SOLTANTO
FU IL DRAMMACCIO CRUENTO CHE VI COMMOSSE AL PIANTO SE IL MONTE NON CASCAVA MORIVANO DI STENTO MA NESSUNO CI BADAVA
Sistemati i sopravvissuti si cominciò a pensare a dare una sistemazione definitiva alla Rupe. Si allargò la strada creando piloni e murature di sostegno verso il fiume e nell’agosto del 1893 si cominciò a costruire le grande arcate a sostegno del monte. Terminate le arcate nel giugno del 1895, tre anni dopo la sciagura, si cominciò a tagliare la parte del monte che sporgeva.
Dai primi anni del 1900 in poi, non si scavò più nella roccia della Rupe, non per l’insegnamento avuto ma perché nelle case moderne i camini vennero sostituiti dalle stufe a legna e le pietre per le scale o per altri lavori edili non erano più utilizzate, al loro posto si cominciò ad usare il cemento armato, molto meno costoso.
La Rupe fece ancora parlare di sé durante l’ultima guerra; le grotte servirono da rifugio per evitare i bombardamenti e in alcuni casi si formò di nuovo una comunità troglodita molto simile a quella formatasi molti anni prima. Nel 1945 i soldati tedeschi in ritirata, per ritardare l’avanzata degli alleati, fecero saltare con il tritolo il piano stradale e le arcate di sostegno. Pochi giorni prima della fine della guerra in uno degli ultimi bombardamenti (17 aprile 1945) venne distrutto il Santuario nella piazza del Borgo e con esso perì anche l’immagine della Madonna del Sasso.
Il Comelli termina il suo libro sulla Rupe con questa frase a cui anch’io mi associo: “dal 1300 i poi la storia della Rupe del Sasso si confonde con quella delle sue rovine. Auguriamoci dunque che la celebre Rupe non abbia più storia nell’avvenire”. L’ augurio del Comelli è stato propizio. Dal crollo della Rupe ai giorni nostri non si è verificato nessun danno a cose o a persone. Unico episodio di rilievo è avvenuto verso la sera del 14 settembre 1953, quando: terriccio, sassi e un grosso macigno di oltre venti quintali precipitarono sulla strada, per fortuna al momento del sinistro non transitava nessuno, creando solo una breve interruzione del traffico. Per garantire maggior sicurezza, verso gli anni novanta, tutta la parte del monte sopra la Porrettana è stata imbrigliata con reti metalliche.